FRITTATA DI VITALBA
Un tempo i marecchiesi apprezzavano la vitalba utilizzandola in cucina in vari modi (vedi sotto).
Per la frittata servono esclusivamente i giovani germogli, che non sono tossici.
Dopo averli lessati vengono passati sotto l’acqua corrente, poi si fanno appassire in padella in pochissimo olio extravergine d’oliva, si buttano le uova sbattute, si regola di sale e pepe q.b., poi si fa rapprendere.
Sul piatto la frittata viene servita con una bella insalata primaverile di campo.
VITALBA
Un tempo di questa pianta invasiva e inconfondibile, a primavera se ne raccoglievano, in abbondanza, le giovanissime estremità e i getti, prima della fioritura in modo che si presentassero tenere, fragili, edibili, separando le parti dure.
Tuttavia le nonne e le mamme d’un tempo erano consapevoli che se ne doveva fare una raccolta rigorosamente selettiva, ma soprattutto un utilizzo gastronomico assai parsimonioso, per evitare gravi problemi agli intestini e intossicazioni.
Per cui intervenivano sottoponendole a bollitura, indi a cotture brevi e delicate, altrimenti le fragili cimette tendevano a disfarsi.
Gli utilizzi della tradizione riguardavano insalate (dopo breve lessature), padellature semplici, l’amatissima e memorabile frittata; nei ripieni dei cassoni, addirittura nelle misticanze a crudo.
Ho voluto omaggiarla alla memoria, una memoria gelosamente custodita dai più anziani anche nel Montefeltro.
da “La cucina del Montefeltro” – Graziano Pozzetto