STUFATO SANGIOVANNESE
Si acquista muscolo della gamba anteriore di un vitello, data la lunga cottura va benissimo anche il manzo.
Ci si fa dare dal macellaio un pezzo d’osso, sempre dell’anteriore, e una zampa.
Con osso e zampa e relativi odori si prepara un buon brodo. Il muscolo si fa a pezzetti e si mette in un tegame di coccio insieme ad un battuto di sedano, cipolla rossa, prezzemolo, carota, aglio e timo.
È opportuno, anzi obbligatorio, dicono gli “stufatai”, che però si segua questo ordine.
Nel tegame si deve mettere prima un po’ d’olio “senza esagerare”, dicono i sacri testi, con poche foglie di salvia e rosmarino. Appena l’olio comincia a soffriggere bisogna togliere i due odori e mettere il battuto.
Quando anche questo appassisce e comincia lo sfrigolamento dell’arrosolatura, si versa un bicchiere o anche uno e mezzo di vino rosso, un ardito pizzico di peperoncino che qui chiamano “zenzero”, un chiodo di garofano e una grattatina di noce moscata.
L’attenzione della cuoca piatti per gente che lavora 53 o del cuoco deve essere mirata a non fare attaccare il battuto al tegame.
Quando il vino è ritirato e i rischi di fare attaccare il tutto aumentano è giunto il momento di mettere finalmente la carne a pezzetti.
Questa farà la sua acqua, specialmente al giorno d’oggi, certamente no se si tratta di vera carne di vitello di razza chianina.
Quando i pezzi di muscolo cominciano a rosolare si mette la “conserva”, il concentrato di pomodoro disfatto in una tazza di brodo. È il momento di abbassare il fuoco e armarsi di santa pazienza.
Il tegame deve essere coperto e sorvegliato.
Se manca l’umido biso-gna aggiungere il brodo a poco a poco, fino a che la carne è cotta.
Deve essere tenera come il burro, si deve spezzare con la forchetta. Pensa male chi ritiene che per arrivare a questo risultato ci vogliano meno di tre ore.
da “La cucina aretina” di Guido Gianni