Un etologo di campagna
L’INDICE, maggio 2013 – p. 38
di Claudio Carere ed Enrico Alleva
Sandro Lovari
L’ENIGMA DELLE PECORE BLU
L’ALTRA FACCIA DELLA ZOOLOGIA
Disegni di Stefano Maugeri, prefaz. di Piero Angela,
pp. 234, € 17,50
Orme, Roma 2012
Ethologhia voleva significare rappresentazione del carattere, caratterizzazione. Ethologos era l’imitatore, colui che rappresenta. Gli umani sono stati da sempre attenti osservatori del comportamento degli altri animali e forse oggi solo quelli di città, anzi, gli abitanti umani delle grandi città, vanno perdendo l’esercizio a questa attitudine. L’etologia, che solo negli anni settanta è assurta al rango di disciplina scientifica a sé stante, ha sempre vissuto e anche sofferto nell’apparente dualismo tra studi sul campo e studi di laboratorio, condotti in condizioni controllate ma rarefatte. I fautori del campo ritengono che gli studi comportamentali di laboratorio soffrono delle condizioni di cattività e sarebbero poco rappresentativi di ciò che si osserva nel mondo reale. I fautori del laboratorio ribattono che è assai difficile applicare il metodo scientifico-sperimentale in natura. Idealmente, per affrontare una certa questione dovrebbero essere condotti in parallelo, soluzione proposta dalla moderna etologia, spesso improntata ad analisi semi-naturalistiche; in pratica è ardua impresa, anche per le incipienti ed eccepite spending reviews.
Leggere l’ultimo lavoro del noto etologo Sandro Lovari (docente all’Università di Siena) è come avventurarsi in una faticosa scarpinata tra impervie e ostiche montagne, dirupi e vallate, standosene comodamente seduti in poltrona, magari in viaggio. Il libro si legge avidamente, avvincente, didattico e scorrevole, ma soprattutto inebriante nella sua capacità di trasmettere al lettore le gratificazioni del rapporto fusionale uomo-natura. L’autore è, l’avrete capito, un etologo “di campagna” senza se e senza ma; e facendo fede alla vocazione di colui che dà voce a esseri senza voce, si immerge in esplorazione nell’ambiente delle montagne dell’Himalaya, con un intermezzo africano, dove osserva, descrive e traduce il linguaggio di ciò che vi accade. Cosa accade?
Il diario di bordo himalaiano di Lovari (colpisce la sua originale autopresentazione: “Fugge in Asia per le sue ricerche il più spesso che può) è incentrato sulla descrizione etologica di animali poco noti ai più, ungulati di montagna come il goral, il serow, il bharal, un vero e proprio “fossile vivente”, il thar (la “pecora blu”, in realtà né pecora né blu), ma anche avvoltoi (il mitico gipeto o avvoltoio degli agnelli), tigri antropofaghe e leopardi delle nevi. Lo scopo dei suoi viaggi di ricerca, vere e proprie spedizioni con tanto di sherpa, è la descrizione del comportamento di questi animali (il cosiddetto “etogramma”, i moduli comportamentali), vita sociale, interazioni, combattimenti e scaramucce, sessualità, corteggiamenti e predazioni, con l’approccio della moderna etologia insegnata dal maestro olandese Niko Tinbergen, premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1973: integrazione di meccanismi (la fisiologia, il cervello, gli ormoni) e funzioni (l’ecologia), derivante da una solida formazione di stampo anglosassone, proprio dove l’influsso di Tinbergen (che lavorò a Oxford per gran parte della propria vita professionale) si fa più avvertire. Più semplicemente, Lovari esprime il bisogno di sentirsi parte dell’ecosistema che si sta studiando, proprio per poterlo comprendere in maniera più obiettiva. Ecco che le montagne impervie e ostiche, il gelo martoriante, il vento sferzante vengono perdonati, anzi diventano amici e compagni di chatwiniana avventura; i viaggi su minuscoli trabiccoli volanti che atterrano su piste di fortuna confinanti con precipizi diventano avvincenti, e l’autore quasi si fregia di quella fierezza derivante dalla frugalità che è propria dei popoli che abitano quegli habitat. Non mancano chiari spunti su una condivisibile visione del progresso culturale (in risposta alla retorica domanda dell’ipotetico “stakeholder & taxpayer” europeo sull’utilità di studiare il comportamento degli ungulati himalaiani). Il messaggio è eloquente: “Il progresso culturale – che occasionalmente produce scoperte in grado di migliorare la nostra vita – non può basarsi soltanto sul miope sviluppo di discipline direttamente applicative, ma è la risultante di una globale maturazione formativa”.
Mai scevro di puntuali ed esaustivi approfondimenti culturali e scientifici, trasmessi con l’efficacia di chi è abituato alla didattica d’eccellenza e alla divulgazione alta, Lovari guida il lettore in un teatro di villaggi, habitat rupestri e nuclei di ungulati alternando episodi avventurosi, raccontati con un delicato senso dell’umore, a lezioni di etologia sul campo. Un’utile appendice illustra schematicamente, e tassonomicamente, i protagonisti. Un velo di tristezza mista a rassegnazione si insinua come un tarlo nel lettore sensibile ai temi attuali della conservazione e gestione della biodiversità, nell’annotare tra i protagonisti 21 specie di mammiferi su 71 della lista a rischio o minacciate di estinzione (classificazione dell’Unione internazionale per la conservazione della natura 2012). Anche lì, su quelle impervie, poco frequentate, e ostiche montagne.
“Nulla è più utile di un viaggio per un giovane naturalista esordisce l’autore citando Charles Darwin. Ed è questo il vero messaggio ai giovani etologi in fieri, ma anche al comune appassionato della vita in cui è immerso. Vita da vivere etologicamente, sapendola osservare con ironica arguzia e spirito viaggiante.
caludiocarere@unitus.it
C. Carere insegna etologia e fisiologia animale
all’Università della Tuscia di Tarquinia (VT)