Descrizione
Storie di gatti
Una sequenza di storie divertenti, a volte commoventi, sempre profonde e in grado di raccontare qualcosa di imprevedibile sul più imprevedibile dei quattrozampe domestici e sulla natura misteriosa del legame che ci lega a lui.
Ma allora, “Il gatto è veramente un animale domestico? Oppure, come ha scritto Marcel Mauss, è il solo animale che, al contrario, abbia addomesticato l’uomo?”, si domanda Celli, nel prologo di una sua deliziosa storia sulla gatta di Maometto, il cui sonno era così sacro per il suo padrone che questi si fece tagliare la manica della vestaglia su cui la bestiola si era addormentata, per non correre il rischio di disturbarla.
Ritratti letterari di gatti, firmati da grandi scrittori di tutto il mondo e di tutte le epoche.
La prima volta che Darwin mi parlò non capii una sola parola di quello che disse. Ma compresi perfettamente ciò che intendeva.
Perché mi si rivolse nel linguaggio antico, nella lingua vertebrata fatta di posture, atteggiamenti del corpo e versi privi di consonanti che i nostri parenti animali parlano dalla nascita. Una lingua che noi esseri umani abbiamo progressivamente dimenticato nel corso del nostro travagliato esodo verso la civiltà, ma che abbiamo ancora la capacità innata di comprendere, se solo guardiamo e ascoltiamo, e sentiamo.
Ero uscito di casa per buttare l’immondizia e camminavo verso la vecchia e cadente staccionata quando vidi un enorme gatto soriano arancione, con i tipici disegni a cerchi concentrici, che se ne stava su un letto di foglie proprio sotto la buganvillea che delimitava all’esterno la proprietà. Abitava lì da circa una settimana, e di solito scappava quando mi vedeva. Ma questa volta mantenne la posizione, rimase fermo con la testa posata sulle zampe anteriori, e mi fissò negli occhi con uno sguardo di sfida, penetrante e testardo, che attraversò le lenti dei miei occhiali, perforò le mie retine verde-nocciola e irruppe nel piccolo buco nero mediante il quale l’universo entra nella mente umana.
Rimasi come di ghiaccio, con lo sguardo fisso in quei dischi metallici arancioni, trasparenti e immobili, in quei neri squarci sul tempo, sulla verità ancestrale di tutto ciò che é venuto prima di noi.
Per quanto sporco e malmesso era comunque un bel gatto, con il tipico disegno a “occhio di bue” sui fianchi – una grossa macchia scura su sfondo chiaro, circondata da spessi anelli – e una pettorina bianca che partiva dal mento e gli copriva il torace e il ventre. L’avevo visto diverse volte nei paraggi e non ci avevo fatto molto caso, ma questa volta non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, e rimasi lì con lo sguardo fisso nel suo. Poi, spinto da un qualche impulso primigenio che non comprenderò mai, aprii la bocca e miagolai.
William Jordan