Un ricordo di Graziano Pozzetto di Salvatore Marchese

L’avevo conosciuto in Piemonte, a Murazzano, in occasione di una degustazione di specialità casearie del territorio.
Non potevo nemmeno lontanamente immaginare, al momento, che la casualità dell’assaggio di toma dell’Alta Langa si sarebbe rivelata la fonte di una profonda ed inestinguibile amicizia con un personaggio, Graziano Pozzetto, famoso nel mondo dell’enogastronomia per la proverbiale schiettezza della sua espressività.
L’avrei incontrato nuovamente, del tutto inatteso, soltanto poche settimane più tardi: i primi giorni di settembre del 1991, ad Argenta, nel Delta del Po, dove mi ero recato per partecipare alle cene di “Saperi e Sapori”. Egli, nativo del luogo, si incaricò prontamente di farmi da guida presentandomi anche gli organizzatori della straordinaria iniziativa tesa a valorizzare il significato dell’alta cucina. Rammento, tra gli altri, Giacinto Rossetti, Igles Corelli e Bruno Barbieri, figure di spicco del ristorante “Il Trigabolo”, oggi chiuso ma all’epoca tra i più importanti e moderni dell’intero Bel Paese.
Durante la manifestazione, che si protrasse per una settimana, trascorremmo insieme la maggior parte del tempo libero. Mi invitò presso la sua abitazione, a Ravenna, ed ebbi così la buona sorte di scoprire l’incommensurabile passione di Graziano per i libri e la raccolta di testimonianze relativi alla cultura della tradizione del cibo e dei diversi aspetti della civiltà contadina delle varie regioni italiane. Seppi, inoltre, dei suoi assidui rapporti con Tonino Guerra, Folco Portinari, Alberto Capatti, Massimo Montanari, Piero Maldini e numerose illustri figure di intellettuali di spicco, con le quali era solito confrontarsi sugli argomenti più disparati, naturalmente a tavola gustando giudiziosamente pecorino di fossa, piadine, squacquerone, salama da sugo, anguille ed altre pregevoli delizie.
A sorpresa, mi confidò che grazie a Marco Guarnaschelli Gotti, all’epoca direttore della collana di cultura regionale del gruppo editoriale di Franco Muzzio, avrebbe scritto un libro da par suo sulla cucina della Romagna.
La notizia mi fece un grande piacere: nella medesima collana era uscito da non molto il mio lavoro sulla cucina della Lunigiana. Oltre che “amiconi”, secondo quanto sosteneva Graziano, saremmo diventati pure “colleghi” come scrittori. In più, ci univa la convinzione nella fede della dottrina di Luigi Veronelli sul piacere delle cose buone.
L’ultima volta l’ho sentito alla fine dello scorso mese di gennaio, in concomitanza con il suo ottantatreesimo compleanno: a suo modo, con pacatezza, mi ha spiegato che presto avrebbe intrapreso un lungo viaggio.
Se ne è andato il giorno di San Valentino. Adesso, lo penso puntigliosamente intento a riordinare il manoscritto da consegnare alla tipografia per la stampa dell’ennesimo libro. Sarà seduto comodamente in qualche angolo di cielo situato a perpendicolo sulla struttura conventuale della magnifica abbazia di Pomposa, l’antichissima culla della civiltà del Delta del Po, situata nel posto, non lontano dalle vigne della sabbia, in cui eravamo soliti trattenerci nelle nostre frequenti conversazioni prima di apprezzare con favore i sublimi manicaretti preparati dai Soncini della Capanna di Eraclio di Codigoro e dalla famiglia Migliari alla Chiocciola di Portomaggiore. Ci capitava magari di parlare di Barolo, ma bevevamo gradevolmente il Fortana, il magico vino rosso frizzante prediletto dalle anguille.
Salvatore Marchese