Search for:
marocco

Al Marocco

Da Tangeri a Fez e ritorno

di Pierre Loti

Edizione: 2014
Euro: 3,99

Formato epub-kindle
ISBN 978-88-98823-32-1

Come acquistare >>

Edizione stampata pagine 224
ISBN 978-88-98823-68-0

Categories: ,

Descrizione

Membro di una missione diplomatica francese in visita al Sultano del Marocco, Pierre Loti nella primavera del 1886 viaggia per oltre un mese da Tangeri (la città Bianca) a Fez (capitale religiosa di ponente, città santa dopo la Mecca) e ritorno.

La carovana attraversa un inedito deserto, interrotto da torrenti ingrossati dalle frequenti e violente piogge che fanno vivere immensi prati fioriti, su cui spiccano le variopinte figure dei cavalieri inviati dai Caïd locali a scortare la missione sulla strada della capitale.

A Fez, ai piedi del grande e innevato Atlante, nella misteriosa Fez interdetta agli stranieri, Loti soggiorna per un paio di settimane, dimorando – con la complicità di un amico e travestito con abiti arabi – in un quartiere della vecchia città.

A più di cento anni da quei ricordi, Loti ci riconsegna un libro di viaggio personalissimo, narrato in prima persona con stile impressionistico, con l’animo affascinato dalle atmosfere arabe eppure venato da quell’eterna malinconia che è stato il principale tratto stilistico di questo scrittore e che gli ha fatto guadagnare il successo ai suoi tempi, un successo che in Francia e anche in Italia sì è rinnovato in questi ultimi anni.

PREFAZIONE,  di Pierre Loti

Sento il bisogno di far qui una breve prefazione. Chiedo perdono: è la prima volta.

E vorrei mettere subito in guardia contro il mio libro un grandissimo numero di persone per le quali esso non è stato scritto. Che nessuno si aspetti di trovarvi considerazioni sulla politica del Marocco, sul suo avvenire e sui mezzi possibili di trascinarlo entro il movimento moderno: anzitutto ciò non mi interessa e non mi riguarda, eppoi, e questo è il più, il poco che ne penso è perfettamente in contraddizione col senso comune. Mi sono anzi guardato bene dal dare, pure approvandoli entro di me, i dettagli intimi che circostanze particolari mi hanno rivelato sul governo, gli harem e la corte, per paura che vi fosse materia per pettegolezzi da parte di qualche imbecille. Se per caso i marocchini che mi hanno accolto avranno la curiosità di leggermi, spero almeno che essi apprezzeranno il mio discrete riserbo.

E tuttavia in quelle semplici descrizioni alle quali ho voluto limitarmi, io sembro assai sospetto di parzialità per questo paese dell’Islam, io che, per non so quale fenomeno di atavismo lontano o di preesistenza mi son sempre sentito l’anima per metà araba: il suono dei flautini d’Africa, dei tam-tam, delle castagnette di ferro risveglia in me dei ricordi insondabili, mi affascina più delle più sapienti armonie: il più piccolo arabesco cancellato dal tempo al di sopra di qualche porta antica, ed anche soltanto la vecchia calce bianca gettata come un sudario su qualche muro in rovina m’immerge in fantasticherie del passato misterioso, fa vibrare in me, non so quale fibra sepolta; e la notte sotto la mia tenda ho talvolta porto l’orecchio, tutto preso, fremente, nelle mie latebre più profonde, quando, per caso da una tenda vicina mi giungevano due o tre note, gracili e lamentose come il cadere di gocce d’acqua, che qualcuno dei nostri cammellieri sonnecchiando traeva dalla sua piccola chitarra sorda…

C’è pur qualcosa di cupo in questo impero del Maghreb – vi si taglia qualche testa di tanto in tanto, sono costretto a riconoscerlo; e tuttavia io non vi ho incontrato per mio conto che gente ospitale – forse un poco impenetrabile ma sorridente e cortese – anche fra il popolo, anche nelle folle. E quando io ho cercato di dire a mia volta delle cose graziose, mi si e ringraziato con quel leggiadro gesto arabo che consiste nel mettere una mano sul cuore e nell’inchinarsi con un sorriso che scopre dei denti bianchissimi.

In quanto a S. M. il Sultano io gli sono grato di essere bello; di non volere né parlamento, né stampa, né ferrovie, né strade; di montare dei cavalli superbi; di avermi dato un lungo fucile incrostato di argento ed una gran sciabola damascata d’oro. Io ammiro il suo alto disdegno delle agitazioni contemporanee; come lui penso che la fede dei tempi antichi, che fa ancora dei martiri e dei profeti, è buona a conservarsi e dolce agli uomini nell’ora della morte. Perché darsi tanta pena per tutto cambiare, per comprendere ed   abbracciare tante cose nuove – dal momento che bisogna morire, che è forza un giorno rantolare in qualche parte del mondo al sole o all’ombra ad un’ora che Dio solo conosce? No, conserviamo piuttosto la tradizione dei nostri padri che sembra un poco prolungare noi stessi legandoci più intimamente agli uomini passati e agli uomini avvenire. In un vago sogno d’eternità, viviamo, noncuranti dei domani terrestri, e lasciamo i vecchi muri fendersi ai soli delle estati, le erbe spuntare sui nostri tetti, le bestie marcire al posto dove sono cadute. Lasciamo tutto e godiamo soltanto al passaggio delle cose che non ingannano – delle belle creature, dei bei cavalli, dei bei giardini, e dei profumi di fiori…

E dunque quelli soli mi seguono nel mio viaggio, i quali talvolta la sera si son sentiti fremere alle prime note gemute da flautini arabi sopra un rullio di tamburi – quelli sono i miei simili – i miei simili e i miei fratelli. Salgono essi con me – sul vivo cavallo bruno dal largo petto, dalla criniera tutta rabbuffata, attraverso pianure selvagge, tappezzate di fiori, attraverso deserti d’iris e d’asfodeli – io li condurrò in fondo a questo vecchio paese immobile sotto il sole grave a vedere le grandi città morte di laggiù cullate da un eterno mormorio di preghiere.

In quanto agli altri, che essi si risparmino la noia di cominciare a leggermi – non mi comprenderebbero; farei loro l’effetto di contare delle cose monotone ed incerte circonfuse di sogno…

 

 

Look inside

#pdfp66217b633305e .title { font-size: 16px; }#pdfp66217b633305e iframe { height: 1122px; }#pdfp66217b633305e { width: 100%; }

Ti potrebbe interessare…