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L’ACQUACOTTA

Mangiare tipico dei pastori e dei carbonai, di pur lontana contaminazione toscana e maremmana, che le transumanze riuscivano ad accorciare, presente non solo nella tradizione di Maiolo e marecchiese, ma anche nelle aree più interne e montefeltresche.

Anche questa zuppa di pane era semplice, arrangiata e spartana, consueta, economica, divenendo pranzo o cena da sola; altresì montanara, identitaria, memorabile, pratica, salutare, casereccia, praticata da gente dedita tutta la vita ai pascoli e alla pastorizia, all’aria aperta in tutte le stagioni dell’anno.

Si faceva con pane vecchio, rinsecchito, conservato con cura, acqua, sale, erbe di campo, ortaggi e verdure ed erbe spontanee e non: patate, sedano, aglio, cipolla, scalogno, bietole, spinaci, prezzemolo, carote, rape, odori ed aromi vari, pomodori se disponibili, ma più realisticamente conserve diluite, vegetali recuperati in natura, legumi come fagioli, ceci, fave, lenticchie e cicerchie; nei casi migliori carni ed ossa ovine e suine; più raramente baccalà; condimenti grassi come lardo battuto o pancetta o guanciale con rosmarino e aglio; se possibile soffritto immesso direttamente in pentola con o senza conserva; talvolta olio d’oliva; sale e pepe; altri ingredienti di fortuna come lauro, salvia, finocchio selvatico, uova sbattute alla fine, cotiche, formaggi grattugiati, castagne secche, addirittura zucchero.

L’elenco è sin troppo zelante, omnicomprensivo, sintesi di svariate esperienze a tema, sia scritte che orali.

Quel che è certo è che si ricorreva ad una sola, piccola parte, solitamente consuete ad umilmente disponibile, di ingredienti legati al vissuto quotidiano, alle aree di transumanza e di sosta dei pastori, nei loro itinerari, secondo tradizione familiare e territoriale.

Si partiva con acqua salata in una pentola o paiolo, nella quale si mettevano a cucinare a lungo erbe e verdure prescelte, le patate sbucciate, gli odori, cipolla, misticanze, legumi e condimenti disponibili, lasciando bollire a lungo il composto brodoso, una sorta di minestrone alla fine raddensato.

Nelle singole scodelle, sul fondo, veniva collocato il pane montanaro rinsecchito, affettato o spezzettato, strofinato con aglio e magari sublimato con un filo d’olio d’oliva; poi vi si versava sopra l’acquacotta, amalgamata alle verdure fatte.

Il pane risultava completamente inzuppato ed intenerito, come una zuppa; si cercava di perfezionare con formaggio pecorino (erano pastori!) grattugiato, sale, pepe, erbe aromatiche, uova sbattute, sughi “matti”, senza carni, preparati a parte.

La zuppa poteva essere diversamente preparata immettendo il pane direttamente nella pentola.

da “La cucina del Montefeltro” – Graziano Pozzetto

La cucina del Montefeltro, di Graziano Pozzetto – copertina

Una ricetta e una regione al giorno – da 01/01/2019

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