I GOBBI IN UMIDO DELLA VIGILIA DI NATALE
Sono un tipo di cardi o cardoni grandi e biancastri ancora rintracciabili nei mercati di verdura d’inverno. Si chiamano gobbi per via della loro caratteristica forma arcuata dovuta alla lunga e laboriosa tecnica di coltivazione.
Le piante, che assomigliano ai sedani, un tempo all’inizio dell’inverno venivano impagliate, ritorte verso il terreno e sotterrate. Con questo speciale provvedimento e con l’aiuto del freddo, che più era rigido e più aumentava la loro prelibatezza, i gobbi diventavano più bianchi e più dolci.
La loro bontà ha sempre rappresentato un vanto in campagna perché dipendeva soprattutto dalla sapienza con cui venivano coltivati.
Si mangiavano quando c’era la neve e non mancavano mai sulla tavola della vigilia di Natale dopo i maccheroni con lo stoccafisso.
Dopo cena si tiravano i capomesi: un particolare sorteggio per trarre dal caso auspici e previsioni sulle stagioni; mentre nel focolare, per tradizione, continuava a bruciare un grosso ciocco per tutta la notte. Quella sera anche le bestie venivano “governate” più abbondantemente del solito e i fidanzati andavano a portare puntuali le somare, cioè il regalo di Natale, alle proprie fidanzate.
Si lavano, si tagliano a pezzi e si mettono a lessare per una mezz’ora in abbondante acqua salata. Poi si scolano e si continuano a cuocere in un tegame con un po’ di ragù di carne per un’altra mezz’ora a fuoco debole.
I gobbi vanno infine serviti con molto pecorino grattugiato, o, secondo un’usanza più recente, col parmigiano.
da “La cucina picena e delle Marche” – Beatrice Muzi e Allan Evans