POPPE DI MONACA
Siamo all’Impruneta. Stupenda la basilica di Santa Maria con il portico a cinque luci e il campanile merlato. Alla Madonna dell’Impruneta si rivolgevano i fiorentini nei momenti di grande pericolo. Dal Trecento in poi venne trasferita a più riprese a Firenze per proteggere la città dalle pestilenze e dalle inondazioni. Durante l’ultima guerra la basilica è stata parzialmente distrutta da un insensato bombardamento. Nel suo museo ci sono i migliori esemplari dell’oreficeria fiorentina del Cinquecento-Seicento.
La fiera dell’Impruneta è antichissima, la più rinomata della Toscana. E per prima in Italia, l’Impruneta ha organizzato la festa dell’uva.
Ci sono molti tirami-tirami, dunque, per venire all’Impruneta. Non ultime le poppe di monaca.
La loro ricetta si avvicina a quella degli africani di Greve in Chianti. E anche questa l’ha raccolta Leo Codacci:
- 6 rossi d’uovo per 500 grammi di zucchero
- 40 di burro
Le poppe di monaca sono molto dolci. Sembra di leggere una novella del Boccaccio. E la crema ottenuta non va divisa nei bicchierini di carta ma adagiata con il cucchiaio, a grossi fiocchi, nella teglia unta con il burro.
Ci vuole attenzione, perché le poppe non si appiccichino una all’altra durante la cottura, quando emergono gonfie di dolcezza facendo pensare proprio a dei seni giovanili. Ma perché di monaca?
La risposta è semplice e deluderà i ghiottoni che nel gemellaggio fra gastronomia e sesso trovano un conforto poetico. Gran parte dei dolci antichi hanno origini conventuali. La stessa Caterina de’ Medici, lo ricordate?, imparò a confezionare i berlingozzi nel convento delle suore benedettine delle Murate.
da “La cucina fiorentina” – Aldo Santini
